Se l’era sentito balzare sul seno quel figlio; e da quel giorno lo vedeva, con il cuore, già grande e pietoso profeta.
Quel giorno lei camminava sobria e lenta, con gaudio, sul lungo sentiero dei monti. Tra i passi un vagito le usciva dal corpo; e lei trasaliva. L’Angelo apparso era ormai ritornato nella nube celeste da dove era partito.
Poi ella affrettò il trepidare dei piedi: voleva presto annunciare ad altri l’arcano stupore che l’aveva tanto nutrita. Restò nella casa d’una anziana parente raccontando nelle ore il mistero con parole di madre e teneri gesti irrorati da lacrime di giubilo santo: -domani il bambino sarà uomo; ed anche il mio- si dicevano liete toccandosi il ventre ansioso di uscire.
E già le donne pensavano alle tuniche e, con gli occhi dell’anima, vedevano i loro figli già pronti a donarsi ai fratelli.
Così, insieme, composero vesti con mani materne, con sussulti di gioia ad ogni puntura dell’ago, e con timor di far male: non erano ancora punture di spine.
E venne il tempo di indossarle, le tuniche, per andare al deserto o in mezzo alle folle.
Tornarono più volte le madri ad abbracciare quei volti che ormai erano doni per altri, per toccare le tuniche vestite, sì belle, dai figli sì buoni. Scomparvero essi dietro un muro di cinta.
La sabbia ed il vento, l’urlo delle fiere non deturparono la tunica forte e nemmeno quella regale fatta per gente devota.
Un giorno una donna malata, con gesti e con voce tremante, s’avvicinò a tentoni a quell’uomo vestito di tunica chiara e gli toccò quella frangia che Maria aveva lasciata pendente dal fianco.
S’accorse del tocco quell’uomo vestito di tunica chiara, e prese in disparte la donna guarita.
E restò fisso negli occhi di lei il volto di lui, qual tenerezza
d’ un’ aura aprica che, toccando le fronde d’intorno, pareva comporre le note di un purissimo amore.
Poi la furia del male gli tolse di dosso la tunica intonsa lanciandola ai sassi, perché la carne d’un corpo legato a una turpe colonna soffrisse le sferze dei bruti.
E dopo lo strazio dei colpi, la tunica ricoprì il bel corpo piagato. Un’ora ed un’altra durò la salita.
La tunica toccò alla sorte di chi, con crudeli risate, piantava dei chiodi nel legno. Ma dopo gli spasimi e la morte, la tunica tornò a rivestire, pulita, quel corpo ormai vivo e splendente.
Lo vide sua madre, vestito di tunica, la stessa cucita dalle tenere mani. E a un lembo del lino ben noto asciugò le sue lacrime pie; e vide con l’azzurro degli occhi, un bel sorso d’azzurro di cielo.
S’era tutto vestito di nuovo questo mondo provato dai tanti deliri; era questo il miracolo
dell’ Uomo Risorto.
BUONA PASQUA